Dopo “Un treno lungo cent’anni, sino ad Enna da Castrogiovanni” del 2009, Giuseppe Ferrante arriva nella fase culminante del suo “viaggio” letterario. Si tratta, infatti, di un viaggio intrapreso nel 2005, quando debutta con “Donna di voglia – 1943”; progettato nel 2006 con la pubblicazione de “I racconti di Roccadisopra” e concluso con “Il politeista di provincia” (Bonanno Editore). Spesso nei racconti di Pino Ferrante vi è un mezzo di locomozione. Nel romanzo del 2009 è il treno che avrebbe dovuto congiungere Enna con il resto del Paese con la speranza di tutti che quel treno avrebbe portato benessere e sviluppo nel cuore di una Sicilia retrograda e mentalmente latifondista. Di fatto il treno è servito per fare emigrare i siciliani in altre nazioni dove sono stati “mal accolti”.
In quel viaggio che i siciliani facevano ve ne era un altro interiore, sociale, culturale. In quel via-vai i siciliani si arricchivano di idee nuove, qualcuno anche economicamente, quindi sotto questo punto di vista l’essere andati via ha giovato all’emancipazione, ma ritornare in quella realtà che rimaneva tale e quale, mai scalfita da niente e nulla, era traumatico per chi voleva che anche la Sicilia cambiasse e si aprisse al mondo nuovo.
I siciliani dei racconti di Ferrante partono sconfitti, ma con tante speranze e propositi e ritornano sconfitti e disillusi.
Il solito pessimismo? No! Constatazione di fatto. A noi siciliani non piace sentirci dire come siamo fatti, semmai lo dobbiamo dire noi, ma la realtà è questa. Ci sforziamo di cambiare ma qualcosa di ancestrale, di atavico ci riporta verso il Tamas (da cui ‘ntamati) che ci caratterizza. Nel romanzo de “Il politeista di provincia” il mezzo di locomozione è l’automobile (la mitica Seicento Fiat).
Il viaggio è sempre migratorio, da Enna al Nord Italia. Un viaggio fisico e culturale anche questo, ma anche un viaggio ideologico in un’Italia che tenta di rinascere dalle macerie della guerra; che non ha ancora l’autostrada; un’Italia in cui il senso ideologico della politica è molto forte. Si assiste all’avanzamento dei partiti di sinistra, comunista e socialista; alla nascita di una coscienza della classe operaia e i siciliani più illuminati vogliono vivere quella stagione, come Carlo, il protagonista del romanzo che abbraccia questa nuova visione del mondo.
Egli tenta di realizzare il bene personale e sociale. Lo fa tuffandosi nel conflitto ideologico marxista e liberale. Lui progressista, di sinistra, si scontra contro quella mentalità borghese che permane ancora oggi.
Carlo vagheggia una possibile terza via. L’aver scelto un’idea che va in contrasto con quella della stessa moglie, abbracciata ad un vuoto modernismo e consumismo, incrina anche il suo rapporto matrimoniale.
Giuseppe Ferrante, mentre ci racconta del viaggio fatto a tappe da Carlo con la sua auto, ci racconta anche l’Italia di quel periodo, e poi dagli anni ’60 a quelli ’70.
Da imperterrito censore della società contemporanea, il protagonista Carlo subisce nel corso degli anni le inevitabili ostilità degli “indifferenti” o dei “benpensanti”. Mai si sottrae dal suo ruolo di “utopista” a tempo pieno, polemizzando con i numerosi tutori dell’esistente con i suoi privilegi e le sue ingiustizie.
Da intellettuale siciliano che emigra al Nord, non perde mai occasione per confrontare le due realtà territoriali, di misurarne i rispettivi squilibri e di polemizzare.
A quali conclusione arriva? Beh! Ha girato tanto per constatare, poi, che una giovane donna siciliana, che fa la pastora in Sicilia e produce formaggi, aveva capito tutto!!
Alfio Patti